La predeterminazione alla noia,
alla fantasia, all'elemento
indispensabile che circonda la soglia
onirica della notte,
che è un tema di difficile definizione;
la segregazione;
l'amalgama tomistica della conversazione;
e poi ancora l'eutanasia della memoria,
il misterico
intervallo seminale sinaptico
su alberi dendritici,
come sciami temporaleschi,
come mandrie cumuliformi
o trasognanti cirri.
Lì,
all'ombra di un pomeriggio
che si dilunga in retoriche stantie,
io mi addentro
come sul sentiero che porta
ad una dimora familiare,
che domina la Valle
ed il fiume
dove un giorno lei
immerse il mento per bere
e si rinfrescò la fronte.
Si dipana allora l'allerta,
come se risuonasse il vento
da parte a parte
e con esso il cachinno
sguaiato degli animali del bosco.
A quel trambusto,
il composto sudiario che tengo
sulle spalle, sul quale
si intravedono i volti scomparsi,
scivola a terra
e ricopre le pietre del sentiero.
Un lembo si bagna in una pozza
lì accanto,
e si scurisce.
Da esso fluisce sangue coagulato,
iniettando nella trasparenza
cristallina dell'acqua l'infezione,
ridisponendo la purezza
in miasmatico dileggio,
fumosa e rapsodica incoerenza.
Proprio questo avvelenamento del suolo,
come se labbra salvifiche
avessero succhiato fuori il veleno,
mi slega le ginocchia,
e così mi è permesso proseguire.
Non c'è più
la tenera ossessione,
non c'è nemmeno più
la monomania dilapidante
che germoglia in un piccolo spazio,
circonvoluzionaria.
Ora c'è la bella stagione.
§Johan Razev§
